Perché la Corte di Giustizia Ue boccia il governo Meloni e i suoi “trucchi” sui Paesi sicuri dei migranti

La sentenza della CGUE
Un paese di origine è sicuro se lo è per tutti, ha chiarito la Cgue, e l’ultima parola spetta al giudice. Spazzato via l’escamotage delle “eccezioni” utilizzato dall’esecutivo per includere casi come l’Egitto

Il 1° agosto 2025 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), ha pubblicato l’attesa sentenza nelle cause riunite C-758/24 [Alace] e C-759/24 [Canpelli]. Come noto, la vicenda ebbe inizio con il trasferimento nel centro di Gjader in Albania di un gruppo di cittadini bengalesi cui la domanda di asilo fu rigettata per manifesta infondatezza il 17 ottobre 2024 dopo un esame sommario condotto in poche ore, applicando la cosiddetta “procedura accelerata di frontiera” in ragione della loro provenienza da un paese di origine che il Governo italiano aveva qualificato come “di origine sicuro” tramite un decreto legge.
Liberati dal trattenimento e rientrati in Italia a seguito della decisione del Tribunale di Roma-sezione specializzata per l’asilo che aveva ritenuto illegittima l’applicazione della procedura accelerata di frontiera in Albania e il loro trattenimento nel centro, i ricorrenti presentarono ricorso avverso il diniego della loro domanda di asilo dinanzi al Tribunale ordinario di Roma, il quale sospese il procedimento chiedendo alla CGUE di esprimersi sulle importanti questioni pregiudiziali su cui ora la Corte si è ora pronunciata. Non si tratta di un contenzioso tra i tanti, ma di una decisione le cui ricadute politiche sono di estrema rilevanza, dal momento che il Governo italiano aveva coltivato con estrema determinazione la propria scelta di aprire in un paese terzo (Albania) un centro di detenzione dove condurre il maggior numero possibile di persone salvate in acque internazionali e che chiedevano asilo all’Italia, dilatando a dismisura la nozione di paese di origine sicuro in modo da farvi rientrare quanti più richiedenti asilo possibile e nello stesso tempo cercare di limitare il controllo giurisdizionale sulle decisioni relative alle domande di asilo.
Nella sua difesa dinnanzi alla CGUE erano due le tesi principali del Governo italiano: la prima è che fosse possibile qualificare un paese di origine come sicuro inserendo delle eccezioni per categorie di persone (ad esempio oppositori politici, minoranze etniche, persone con diverso orientamento sessuale) e che tali eccezioni potessero anche arrivare a un numero indefinito. Un approccio che mirava a svuotare di ogni senso la stessa nozione giuridica di paese sicuro in modo generale. Tali forzature erano state stigmatizzate dall’avvocato generale della CGUE che aveva proposto alla Corte un’interpretazione della normativa vigente in materia di paesi di origine sicuri (la Direttiva 2013/32/UE) secondo la quale era ammissibile qualificare come sicuro un paese di origine del richiedente se ciò comportava “circoscrivere le eccezioni personali a un numero molto limitato di persone”. La Corte non ha accolto questa tesi e ha scelto invece l’interpretazione più rigorosa ritenendo che l’art.37 della vigente Direttiva “osta a che uno Stato membro designi come paese di origine sicuro un paese terzo che non soddisfi, per talune categorie di persone, le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I a detta direttiva”. In altre parole nessuna eccezione per categorie di persone è possibile. La tesi della legittimità delle eccezioni, specie se plurime e rivolte a molte e diverse categorie di persone, viene dunque spazzata via, e con essa la legittimità stessa della designazione attuale dei paesi di origine sicuri previsti dal DL 158/2024.
Non si potrà più sostenere, ad esempio, che l’Egitto è un paese di origine sicuro salvo che per chi dissente dal regime in carica, ovvero, potenzialmente, qualunque cittadino ogni giorno. Quasi tutti i paesi qualificati come di origine sicuri con il DL 158/2024 non lo sono dunque affatto per contrasto con il diritto dell’Unione. La costruzione tenacemente portata avanti dal Governo italiano crolla e l’applicazione della nozione di paese di origine sicuro dovrà essere radicalmente rivista, salvo andare incontro a nuove censure di legittimità. La CGUE conferma la possibilità che uno Stato membro dell’Unione stabilisca una lista di paesi di origine sicuri mediante una atto avente forza di legge ma deve garantire un “accesso sufficiente e adeguato alle fonti di informazione (…) sulle quali si fonda tale designazione. Accesso che deve, da un lato, consentire al richiedente protezione internazionale interessato, originario di tale paese terzo, di difendere i suoi diritti nelle migliori condizioni possibili” e deve parimenti consentire al giudice “di esercitare il proprio sindacato su una decisione concernente la domanda di protezione internazionale”. Il giudice dunque ha pieno potere di valutare, in relazione al caso concreto che gli viene sottoposto, la legittimità della designazione di paese sicuro nel senso di valutare se rispetti i criteri giuridici previsti dal diritto europeo. Nell’effettuare tale valutazione può ovviamente avvalersi di fonti plurime e diverse da quelle seguite dall’Amministrazione “a condizione, da un lato, di accertarsi dell’affidabilità di tali informazioni e, dall’altro, di garantire alle parti in causa il rispetto del principio del contraddittorio”.
Chiunque, al di là dei tecnicismi giuridici, è in grado di comprendere l’importanza di ciò che la CGUE afferma: ovvero che un Governo non può arbitrariamente decidere che un paese di origine di una persona che chiede asilo diviene sicuro se ciò serve alle finalità politiche del momento, ma che tali designazioni consistono in procedure che devono rispettare i criteri giuridici fissati dalla norma, e che il giudice non è il notaio del potere esecutivo bensì è chiamato a verificare la legittimità delle scelte dall’Amministrazione in relazione all’ordinamento. Al di là della specifica e complessa materia del diritto d’asilo, si tratta di principi elementari dello stato di diritto in sé. È inquietante leggere la scomposta reazione del Governo italiano contenuta in un comunicato stampa che, con un linguaggio oramai trumpiano, aggredisce anche la Corte di Lussemburgo (dopo averlo fatto con la magistratura italiana “oggetto, in questi mesi, di pesanti attacchi pubblici per l’esercizio della loro funzione”, come ha ricordato ieri l’Anm) sostenendo che la giurisdizione europea “rivendica spazi che non le competono, a fronte di responsabilità che sono politiche” ostacolando con il suo operato “le politiche di contrasto all’immigrazione di massa e di difesa dei confini nazionali”. È la rivendicazione, dal tenore un po’ eversivo, di un potere che si vuole senza regole, libero di fare ciò che si vuole.
L’impatto della sentenza della CGUE riguarda in via generale tutti i casi dei richiedenti asilo sottoposti alla procedura accelerata di frontiera perché provenienti da paesi cosiddetti sicuri, sia che siano trattenuti, sia che si trovino nelle ordinarie strutture di accoglienza, ma è particolarmente evidente sull’attuazione del Protocollo italo-albanese. Il centro di Gjader rimarrà vuoto dei richiedenti asilo che in quella struttura il Governo italiano aveva la tenace intenzione di deportare, realizzando il primo esperimento europeo di delocalizzazione in un paese esterno all’Ue dell’esame delle domande di asilo. Finora solo un’ala apposita dello stesso centro rimane aperto con funzioni di CPR nel quale sono rinchiuse appena una manciata di persone. Tuttavia, anche quella parte dell’immensa struttura non può rimanere attiva per le ragioni che ho indicato su queste pagine il 25 giugno scorso a seguito del rinvio alla stessa CGUE operato dalla Cassazione (Decisione n. 23105-25) la quale, con ottime ragioni, interroga la Corte Europea per sapere se sia possibile, per il diritto UE, allestire e gestire una struttura di detenzione amministrativa per il rimpatrio fuori dall’Unione in un paese extra UE.
Il Governo italiano, sempre nel comunicato scomposto diramato ieri, sostiene che “è singolare che (la sentenza) avvenga pochi mesi prima dell’entrata in vigore del nuovo Patto UE su immigrazione e asilo contenente regole più stringenti quanto ai criteri di individuazione di quei Paesi” (di origine sicuro) fingendo di dimenticare che la CGUE giudica sul diritto vigente, non su quello futuro. Sembra così quasi ammettere che sapeva di non poter fare quel che ha fatto. Che si potrà farlo in futuro è quanto mai dubbio; il nuovo Regolamento (EU) 2024/1328 sulle procedure di asilo, prevede in effetti che la designazione di paese terzo sicuro possa essere fatta anche “con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili” (art. 61 par.2) ma sul punto valgono le osservazioni già fatte dall’avvocato generale della CGUE, ovvero che l’eccezione, anche laddove fosse possibile (e oggi non lo è) non può portare a snaturare la nozione di base e deve rimanere estremamente circoscritta.
Infatti anche il nuovo Regolamento è chiaro nel precisare che la nozione di paese di origine sicuro può essere applicata solo se “sulla base della situazione giuridica, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono persecuzioni (…) né alcun rischio di danno grave (art. 61 par.1)”. Un Paese il cui ordinamento non sia democratico non potrà in nessun caso essere legittimamente inserito nella lista – che sia quella comune europea o quelle stabilite a livello nazionale dai singoli stati, poco importa – dei paesi di origine sicuri. Se anche ci trovassimo oggi nel nuovo regime normativo, le designazioni fatte dal Governo italiano sarebbero probabilmente in contrasto anche con il nuovo diritto UE.
l'Unità